BARBOLANI,
Cristina: Poemas caballerescos italianos,
Madrid, Síntesis, 2005
Teresa Grau Colomer
Universitat de València
Durante un lungo periodo (dalla fine del ’400 all’inizio del ’600) la poesia cavalleresca italiana fu assai letta in Italia ed ebbe una grande diffusione europea. Nel libro Poemas caballerescos italianos pubblicato nel 2005 da Síntesis, la studiosa Cristina Barbolani percorre l’evoluzione di questo genere: l’Umanesimo, il Rinascimento, la Riforma e la Controriforma vi lasciarono le loro impronte, sia dal punto di vista tematico che da quello formale. Così, la relativizzazione del concetto di nemico indissolubilmente associato al pagano –il Male-, e il laicismo umanistico sono sostituiti dall’ortodossia controriformistica; la gioiosa esaltazione del piacere sensuale si tramuta in rigorismo morale; in più, la trasgressione romanzesca si diluisce fino ad arrivare all’adeguazione al canone epico omerico e virgiliano, coincidendo –e non è un caso- con la Controriforma.
Per illustrare le diverse tappe di questa evoluzione, l’autrice fissa lo sguardo sui rappresentanti maggiori, quattro classici con un forte influsso sulla letteratura posteriore: il Morgante, di Luigi Pulci; l’Orlando Innamorato, di Matteo Maria Boiardo; l’Orlando Furioso, di Lodovico Ariosto; e, finalmente, la Gerusalemme Liberata dello sventurato Torquato Tasso. Partendo da una speciale attenzione al contesto storico e culturale, Cristina Barbolani concede uno spazio importante alla biografia e personalità di ogni creatore, riassume l’intreccio delle opere, ne analizza le principali caratteristiche tematiche e formali e fa riferimento alla loro fortuna. Oltre alla bibliografia canonica sugli argomenti, la studiosa si sofferma sui contributi e le vie di ricerca più recenti (alcune ancora solo insinuate, e certamente inquietanti, come quella di Laura Benedetti a proposito della divergenza nella condotta finale di Goffredo rispetto a Enea, che potrebbe condurre alla reinterpretazione globale della Gerusalemme).
Il Morgante viene presentato come “epopea borghese”: l’autrice insiste sulla dimensione materiale; sottolinea l’ironia e comicità tragica -grottesca- pulciana, lo scetticismo (Margotte, personaggio originale del Pulci, introduce il dubbio e l’ambiguità, anche per quanto riguarda la difesa della fede e i modi che vi si adoperano) e il relativismo (i limiti tra eroicità e viltà, tra cristiani e pagani, sono molto sfumati: gli eroi non lo sono poi così tanto, e non lo sono sempre, ed i nemici agiscono, delle volte, eroicamente). Il rapporto dell’autore con l’Umanesimo è stato molto discusso: la Barbolani considera che, pur avendo un’immagine opposta all’Umanesimo più raffinato, gli si addicono perfettamente la visione critica, l’atteggiamento più aperto anche per quanto riguarda la sperimentazione artistica, e la rivalutazione dell’uomo tipicamente umanistici.
Un carattere assai diverso (e diversissima era la natura degli Este ferraresi, rispetto a quella dei Medici fiorentini) presenta l’Orlando Innamorato, romanzo cortigiano attraverso il quale il Boiardo intendeva nobilitare la narrazione cavalleresca, cioè renderla un genere aristocratico. C’è, sì, qualche tratto “borghese” (elementi comici –realistici-), ma solo negli episodi secondari e nelle storie intercalate: il suo romanzo nasce come divertimento cortigiano, e l’autore potenzia la componente fantastica e la stilizzazione idealizzante tipicamente rinascimentale. L’autrice mette in rilievo l’atteggiamento prettamente umanistico della prevalenza dell’amore, forza individuale, sulle armi, per la volontà di esplorare l’uomo in tutte le sue dimensioni, anche quelle (per così dire) più “umane”.
Per quanto riguarda l’Orlando furioso, la studiosa parla di “policentrismo dinamico” per spiegare l’organizzazione dell’opera; analizza pure il ruolo del narratore-demiurgo che guida il lettore verso l’interpretazione giusta, anche attraverso l’ironia. Certamente, l’opera aveva una finalità encomiastica; eppure, afferma la Barbolani, probabilmente l’Ariosto non sentì l’obbligo dell’elogio come una coazione sulla propria libertà artistica; in realtà, la lode della stirpe estense è inserita all’interno di un atteggiamento generale del poema: l’esaltazione del presente, valore tipicamente rinascimentale, che giustifica, poi, la modalità più importante del policentrismo a cui abbiamo accennato, cioè lo slittare nel tempo, dal mondo cavalleresco alla contemporaneità del poeta. La letteratura fantastica, d’altra parte, non è concepita dall’Ariosto come semplice divertimento o evasione: i mondi sognati, mondi “altri”, esistono per l’uomo del Rinascimento, che pretende superare i limiti della realtà attraverso l’arte.
Il genere subisce una profonda mutazione nella voce del Tasso: e non poteva succedere altrimenti, poiché sia il contesto che la personalità dell’autore sono assai diversi. L’eroe cavalleresco è diventato miles Christi, non è più errante (sa dove deve andare) e non è più dedito a cercare avventure individuali, ma sottoposto a una causa trascendentale (guerra santa), certo superiore all’amore: opposta, anzi, in un contrasto che costituisce, difatti, la struttura fondamentale del poema. La visione dei personaggi femminili è, quindi, profondamente cambiata (lontanissime sono ormai le Angeliche del Boiardo e dell’Ariosto); il suo erotismo è morboso, giacché l’amore è un traviamento. La meditazione sulla precettistica letteraria e la volontà di aderire al modello epico virgiliano conducono l’autore alla concezione del poema come progetto unitario. Il Tasso rifiuta il concetto di variatio rinascimentale, ma non accetta strettamente il senso dell’unità aristotelica: ambisce riflettere la varietà nell’unità, vuole racchiudere in un poema l’intera esperienza umana.
L’opera di Cristina Barbolani, scritta con uno stile agile e scorrevole, è stata concepita per un pubblico ampio, non necessariamente specialista di letteratura italiana, e –soprattutto- ispanofono: per questo motivo, oltre alla toponimia e all’onomastica, tutte le citazioni, tratte (quando è stato possibile) dalle traduzioni contemporanee o comunque molto vicine agli autori, si presentano in spagnolo. In più, si include in appendice una selezione di brani tradotti. In questo senso, ha un valore particolare la parte che riguarda il Morgante: è stata la stessa Cristina Barbolani a tradurre in prosa i brani che vi si includono, visto che l’unica versione spagnola, di Jerónimo Aunés, manca di valore artistico e tradisce lo spirito trasgressore del Pulci. Lo speciale rapporto con la Spagna si evidenzia, poi, anche attraverso i riferimenti letterari (l’“esperpento” di Valle-Inclán, per esempio, serve a spiegare la componente grottesca pulciana); o l’attenzione all’influsso e all’evoluzione del genere nella letteratura spagnola (Lope de Vega, Cervantes, Góngora, Calderón...). La spiccata volontà didattica si palesa pure nelle aggiunte: oltre alla selezione accennata, c’è un indice dei nomi (personaggi dei poemi, letterati contemporanei e posteriori, studiosi, ecc.), con una breve descrizione; un glossario di termini letterari; e, finalmente, una tavola cronologica.